Pandemia e delusione
Tra le osservazioni più crude a proposito di come stiamo in questo momento,
la più acida da digerire è certamente quella relativa alla delusione.
Strisciante, inconfessabile forse. Presente nella mente di tutti i lavoratori.
Il “lockdown primaverile” (quasi divertente, come titoletto) lo abbiamo sfangato
come potevamo.
Tra le cose più belle che abbiamo fatto – involontariamente – c’è stata
l’ispirazione che abbiamo saputo dare agli altri. Abbiamo giocato, forse consapevoli
che il momento era duro, e che ce l’avremmo fatta solo se capaci
di prenderci in giro da soli. Avevamo bisogno di leggerezza per rimanere vivi, per
non farci schiacciare. Tra fare il braccino corto, e fare i brillanti, abbiamo scelto
di farci il bidet con il Berlucchi Millesimato. Si vive una sola volta, ecchec***!
Il mondo ci ha guardato lottare contro la pandemia cantando dai balconi,
sfornando piatti che profumavano la tromba delle scale di interi condomini.
Facendo ginnastica per sfidare la prova costume (sperando che ci sarebbe stata,
più che altro), organizzando lavoro e tempo libero sulle piattaforme online,
mentre i nostri politici e “gestori di vita” nelle retrovie arrancavano per costruire
il futuro strutturando un presente pieno di sofferenza, confuso,
oscuro, inafferrabile. Ci siamo inventati ritornelli motivazionali, abbiamo messo
in piazza i nostri sentimenti, i trucchetti per arrivare a sera rimanendo tutti
in vita (seppur molti nello stesso minuscolo appartamento).
Eravamo disposti a prenderci la nostra parte di responsabilità – <<Non so cosa ho
fatto per arrivare a questa situazione, ma ora sono in pista, e ballo>> – e lo
abbiamo fatto come meglio abbiamo potuto.
E’ un mistero dove la maggior parte degli imprenditori abbia trovato la forza
economica, mentale, emotiva per adeguare le proprie strutture e gestione aziendale
alle richieste dello stato. Da dove sono usciti i soldi per
anticipare la cassa integrazione ai dipendenti (tanti lo hanno fatto, altri avrebbero
voluto ma non hanno potuto)? Per adeguare con l’armamentario
richiesto per la ripartenza studi professionali di ogni genere, piscine, palestre
metropolitane 24/24 e palestrine di paese, ristoranti, bar, negozi?
Quanti, e per quante mattine di seguito, si sono alzati chiedendosi: <<Esisto
legalmente? Sono a norma di legge? Cosa dovrò acquistare/installare/cambiare
oggi? Prenderò una multa? E che multa prenderò?>>
Ci siamo tirati il collo da soli, come una gallina che da sola entra nella pentola
d’acqua per farsi bollire perché le viene detto che un buon brodo è necessario per
il bene comune.
E ora qui siamo.
Energia per reagire con motivazione non ce n’è più. Entusiasmo per giocare al
giochetto del lockdown versione cool non ce n’è più. Il primo che parla di ispirare
gli altri si ritrova appeso a testa in giù sulla pubblica piazza – e,
attenzione, che se non è nel proprio comune di residenza, prende pure la multa.
Il tema “salute” non esiste neanche più! Chi si ammala è colpevole. Chi lo cura stia
zitto, è pagato per farlo, che lo faccia bene o male non importa, con il sorriso
o la lacrima non importa.
Ma la cosa più abominevole è questo senso di DELUSIONE, di aspettativa disillusa,
del <<Mi hai portato all’altare ma già sapevi di non avere gli anelli in tasca>>.
Il grido <<VERGOGNA!>> è il canto muto più feroce, e non serve neanche andare
sul balcone. E’ un rimbrotto che corre sotterraneo, non ha più bisogno
di voce.
La grande differenza rispetto alla riapertura post-lockdown è palese. Abbiamo
reagito tutto sommato abbastanza bene quando ci siamo ritrovati chiusi in
gabbia. Pensare a un NOI, una collettività nella stessa barca, ci ha aiutato.
E una volta riaperta la gabbia eravamo pronti ai blocchi di partenza… ma ci hanno
spostato il traguardo. Ce l’hanno letteralmente tolto da sotto il naso.
Il pensiero condiviso ora è questo: <<La fiducia che abbiamo dato non è stata
ricambiata. Abbiamo avuto fiducia in chi non ne ha avuta in noi>>.
Il senso di direzione unica per tutti è rimasto, però più a livello professionale
che non personale, e quindi si è impoverito della parte empatica, di immedesimazione
negli altri.
Ma avete notato come improvvisamente nessuno ha più avuto voglia di
sentirsi, parlarsi apertamente, confrontarsi? Di dimostrare partecipazione
umana? Avete notato come, improvvisamente, il cuore umano della questione
non esisteva più, sostituito dal crudo livello relativo della partita doppia?
C’è stata una ridistribuzione delle ore vitali. Il 75% si è condensato in un corpo
fisico quasi a se stante che serve per il lavoro. Il rimanente 25% è rimasto
all’individualità che necessita libertà e divertimento, ma con sempre e solo IO IO IO
al primo posto. Come dire… basta bene comune. Ora penso a me. A quello
che mi spetta.
Beh… non ci vuole un indovino per sapere come questa situazione rischia di
evolversi. Prima che l’infiammazione passi, il dolore raggiunge il suo picco.
Nonostante tutto, e come sempre (anche se a volte non sembra) possiamo
scegliere. Se sappiamo come fare. I miei consigli potrebbero aiutarti (anche se
non vuoi lavorare con me come tuo coach relazionale).
Innanzitutto, non lasciare che la delusione blocchi l’accesso al magazzino che
custodisce la memoria di quanto di meglio hai fatto. Magari non hai ancora in
mano il risultato che avresti sperato, quando un giorno di maggio o giugno
guardavi sul calendario e pensavi a novembre. Capisco. Ma considera per favore
che lo sconforto purtroppo è come un lucchetto che tiene serrato quel
magazzino in cui, oltre allo stoccaggio delle merci, sono andate a depositarsi le
impronte di quanto di buono hai saputo pensare, ingeniare, investire, programmare.
Seconda cosa: non permettere che l’intransigenza governi la tua mente.
L’intransigenza, nel rapporto con gli altri, assomiglia un po’ al sale…un pochino ci vuole
(si dice che in un impasto un pizzico di sale esalti la dolcezza) ma essere
troppo intransigenti, con se stessi e con gli altri, non produce buoni risultati.
Può allontanarti dalla tua stessa intuizione, quella che dovrebbe guidarti; e
potrebbe allontanare gli altri da te, anche solo per timore di deludere le aspettative
che pensano tu abbia.
Pensa in modo chiaro: stabilisci che vuoi tenere una visione limpida, non
giudicante, basata sulla tua buona motivazione.
E, infine ma non ultimo per importanza, uno dei miei preferiti di sempre: sii
gentile. Con te stesso, e con gli altri. E’ un po’ una prima volta per tutti, e non
sappiamo bene come si fa.
Lo sanno meglio le persone anziane, la generazione nata e cresciuta in tempo di
guerra, forgiata dalla fame, dal bisogno, e dalla lotta tra quest’ultimo e l’aspirare
a qualcosa di meglio.
Pochi hanno la stoffa per gestire i tempi duri. Ancora meno sono coloro che li
gestiscono a partire dalla certezza che poi anche questi, un giorno, finiscono. E
allora tengono la mente aperta, e costruiscono connessioni, ponti che li
traghettano da oggi già dentro il futuro.
Ma questo non sarebbe possibile senza un miscuglio composto da fiducia,
autostima, speranza, lungimiranza e, naturalmente, anche amore: verso se stessi
e verso gli altri.
Vedi? In fondo… l’amore c’entra sempre!
Good luck!
Le lampade al burro tipiche della tradizione tibetana rappresentano l’offerta di luce
per il bene di tutti gli esseri.
Published
2020/11/09 at 9:37 am