Lasciare il bagaglio e tornare a casa
In aeroporto ho visto una bimba letteralmente spiaggiata sul torace del suo papà.
Seduto lui, lei a cavalcioni e la testa sul petto. Lo sguardo assente, lontano, come solo chi è in totale abbandono può avere.
In quel momento ho sentito molto molto forte il luogo in cui si trovava quella bimba. Un luogo tanto bello da essere atavico, di appartenenza, e non sistemabile su una scala di valori o di giudizio. Bello, brutto, comodo, perplesso, di speranza… no. Era. Era e basta.
I meditatori cercano quel ritiro interiore fermo e stabile costantemente; lo cercano ogni giorno andandosi a sedere sul cuscino, lo cercano andando a meditare via da casa, lo cercano nella saggezza degli insegnamenti, anche se non se ne accorgono. E una volta che lo trovano non lo lasciano più.
Avere raggiunto una condizione di ritiro interiore permette di sentirsi a casa nell’andare e venire, nel costante gioco del prendere e dare, mentre procediamo nella nostra crescita.
Ci sono tanti modi per misurarsi con i propri ritrovamenti, nella vita quotidiana. Io ho avuto la fortuna di trovarne uno molto bello, divertente e utile anche per il lavoro.
Farmi fotografare. Professionalmente, intendo!
Alberto Mancini è un fotografo bravissimo, che cerca l’immagine perfetta e stabile al di là delle condizioni che vanno e vengono, così come i meditatori cercano il loro ritiro interiore.
Uomo attento e raffinato nel suo fare morbido, aggeggia tra i suoi marchingegni mentre ti chiede come stai. Gli interessa davvero come stai, perché gli piacerebbe sapere chi sei. Sa che la persona che ha davanti si sta facendo fotografare per un qualche motivo (uno, cento, non importa), ma lui ha uno scopo: restituire alla persona quella parte di sé che sta cercando, che non conosce ma sa che c’è… da qualche parte.
Ogni giorno, su mille fotografie che girano, duemila sono di troppo. Facce, storie, filtri da applicare. Sorrisi e smorfie, filtri da applicare. Sfondi, avventure e disavventure, filtri da applicare.
In questa spudorata e falsa pretesa d’ intimità nel globale, è bello un viso vero, un volto che si ferma e ti parla, e ti dice <<Sono io. Sono qui.>>.
Sono io, sono come sono, e non temo di saperlo.
Mi faccio fotografare con la scusa del lavoro, o per farmi immortalare per i posteri prima che giunga la vecchiaia, o per fare un regalo alla nonna, ma la verità è che cerco quel luogo al di là del giudizio, al di là delle richieste e del dover essere come dovrei, e ho bisogno di qualcuno che mi indaghi con rispetto. Davanti al quale stare in libertà e senza essere sottoposto a valutazioni di sorta.
Alberto è questa persona.
Non vorrei soffermarmi sulla conoscenza tecnica, o sulla comprovata esperienza. E neanche sull’indiscutibile qualità dei suoi ritratti. Questo forse potrò farlo quando riuscirò a convincerlo a fare una mostra (il rifiuto in questo senso è quasi marmoreo).
Farmi fotografare da lui è stato impagabile, divertente e allo stesso tempo un grande onore; è successo più di una volta e ho sempre imparato qualcosa. Senza che me ne accorgessi, ha saputo prendermi per mano e mostrarmi che c’è qualcosa di più oltre a come noi tutti immaginiamo il ritratto ideale, come per esempio che nessuno è bello o brutto ma che tutti siamo veri, e va bene così.
Da coach prendo le persone per mano. Le vado a cercare là dove sono perché me lo chiedono, e spesso quello che mi dicono è che il posto che occupano non è davvero quello che considerano “casa”. Potremmo dire che queste persone tanto in gamba da voler migliorare la propria vita sono un po’ stanche, e hanno una voglia incredibile di spiaggiarsi come quella bimba dell’aeroporto. Credo che insieme al coaching potrebbero davvero andare a Brescia in studio da Alberto, perché quello che succede mentre lui ti sta fotografando può essere paragonato a una buona sessione di coaching.
In studio, all’aperto, in un capannone dismesso non importa più di tanto; tra te e lui si crea una realtà condivisa nella quale comunque non entra nessun altro. L’attrezzatura ne è il perno centrale, ma presto ti scordi i materiali algidi e inizi a pensare a quei mazzi di fiori che i maghi tolgono dalla manica e che si aprono in mille esplosioni!
Quest’irradiarsi ora sei tu.
Perché, mentre lui si svela maestro nella quadratura del cerchio, tu torni a casa.
Non ti ci portano le gambe corte o lunghe, i denti perfetti o quelli storti, gli occhi verdi o quelli viola. Non ci arrivi più velocemente se hai la barba come società richiede, e non stai fermo un giro perché sei stempiato o hai la pancia, e neanche se sei fatta a viola da gamba.
Trovando la quadratura del cerchio, Alberto ti permette di arrivare in quello stesso luogo in cui quella bimba, giorni fa, si sentiva a casa. Senza costrutti, senza pretese. Senza bagaglio.
Lasciare il bagaglio e tornare a casa non è un controsenso. Torniamo a casa proprio quando lasciamo andare, ce lo dicono in tanti, ma perché è tanto difficile lasciare andare?
Aggrapparsi agli strumenti di sopravvivenza ha permesso l’evoluzione umana, e tutta la nostra struttura vitale è una storia di attaccamento. Sapere rimanere strettamente legati, saldamente abbracciati alla sostanza permette la sopravvivenza di qualsiasi specie.
Quello di cui non abbiamo bisogno è credere che il bagaglio sia vero e solido, e permettere che ci padroneggi.
Lo sappiamo ma a volte ce lo scordiamo.
Ora non sarà più un problema: il ritratto perfetto, grazie ad Alberto, sarà sempre lì a ricordarcelo.
… vi lascio in buone mani!
Alberto Mancini ha navigato il mondo e migliorato l’autostima di tante persone per molti anni con il suo Studio Pedalò. Attualmente le sue qualità risiedono e scaldano i cuori come membro dello Studio Līmĕn. Puoi fare due chiacchere con lui chiamandolo al 329 4782767, oppure scrivergli una mail: albertomancini1975@gmail.com.